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GIOVANNI GIOLITTI
Liberale, una specie perduta

di Sergio Turtulici
Prefazione di A. Mola

Lo chiamavano “Palamidone” vignettisti satirici e avversari politici.
A motivo della lunga severa finanziera che vestiva, dell’essenzialità alpigiana, dello stile di vita e di governo. Alto prestante di statura, fermo e sicuro nell’animo, dominava i lavori del Parlamento, la politica dell’epoca, interprete delle necessità come “volontà della nazione”, la nuova Italia unita. “Dittatore parlamentare” lo dicevano. Ma la sua cifra di governo era know how nella guida dello Stato, autorevolezza, coscienza e misura degli uomini, del reale. Apparteneva Giovanni Giolitti, statista piemontese dei tempi moderni, a una specie umana antica. Friedrich Nietzsche, “ribelle aristocratico”, l’aveva evocata come categoria dei “signori dello spirito” di epoche storiche migliori, più solide delle nostre. Sobrietà, serena pacatezza dei modi, nel dialogo e confronto democratico anche duro, erano in lui tutt’uno con determinazione e orgoglio. Reggeva l’Italia adolescente nello scenario di nazioni europee forgiatesi molto prima nella grande storia con la saggezza e il “pathos della distanza” di un quirite romano.
Nessun politico nell’Italia liberale e poi nella repubblicana dei “moderni” partiti popolari di massa è stato uomo di Stato come lui, pragmaticamente fedele allo Statuto (la Legge costituzionale), al Nomos della Terra, che nel linguaggio mitico è madre del mondo vero, del Diritto, della Giustizia.
fomrato 14x21 cm
pag 220
ISBN 9788831236881
14,00€
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